Volente o nolente, come ormai avrete capito seguendo le nostre avventure fino a qui, per visitare il Madagascar (come tanti altri paesi africani) bisogna armarsi di tanta pazienza perché l’automobile è praticamente l’unico mezzo utilizzabile per spostarsi. L’alternativa sono i taxibrousse, molto simili ai collettivi che si possono trovare nel resto del mondo. Quindi già avere l’auto privata con l’autista è stato un lusso non da poco ahah.
Certo, dato che il punto più a sud che abbiamo visitato è stato il Parco Nazionale dell’Isalo (se avete perso questa pagina, cliccate QUI per leggerla), avremmo potuto proseguire per “qualche” chilometro in direzione sud-ovest fino ad arrivare a Toliara dove vi è un aeroporto, piuttosto che (come abbiamo fatto) risalire e attraversare quasi 1000 km per tornare alla capitale Antananarivo. Peccato che c’erano giusto due problemini non di poco conto:
- devi essere fortunatissimo a trovare un volo per la destinazione e per la data che ti interessa, se sei in Madagascar (e noi questa fortuna non la abbiamo avuta);
- il buon Solofo (l’autista che ha dovuto sopportarci per tutti questi giorni, e vi assicuro che siamo stati davvero dei rompi scatole in certi momenti eheh) e la sua auto come facevano? Avremmo dovuto pagare, oltre ai biglietti aerei, anche tutto il viaggio di ritorno della macchina verso la capitale.
Insomma, tutto questo per dirvi che i 410 km che ci aspettavano per la giornata, erano inevitabili!
In ogni caso, ci tengo a spezzare una lancia in favore di questa giornata che a molti potrebbe sembrare “una giornata persa”, perché i paesaggi che abbiamo visto sono stati davvero uno più bello ed emozionante dell’altro! Come all’andata, siamo passati da zone di deserto, alla savana, alla foresta, poi villaggi, città, popolazioni fatte di uomini, donne ma soprattutto bambini così poveri e così capaci di gioire delle piccole cose, dei piccoli doni che gli avevamo portato.
Per pranzo ci siamo fermati ad Antsirabe, città che già avevamo visitato il 23 settembre (cliccate QUI se ve la foste persi), solo per pranzare al ristornate Zandina e sgranchirci le gambe. Credetemi, dopo una settimana andando avanti a riso, zebù e pollo, scoprire che Carlo ci aveva prenotato un tavolo non solo nel ristorante n’1 della città, ma anche che il proprietario amava la cucina italiana (quindi tentava di replicarla), ci ha davvero riempiti di entusiasmo! Così posso (non tanto) orgogliosamente dire di aver mangiato la PIZZA IN MADAGASCAR!
Sarà stata l’astinenza da cibo italiano, saranno state le mie papille gustative che si erano disabituate a certi sapori, ma devo dire che nonostante l’aspetto un po’ particolare, il sapore non era affatto male! Piccolo appunto, i gusti tra cui scegliere erano qualcosa di davvero assurdo: margherita, pizza allo zebù (mmmmmmh buona la pizza al manzo eh..?), pizza al pollo, pizza alla frutta…. Beh insomma, penso sia chiaro che non volendomi così tanto male, mi sono buttata sulla margherita. Lo so, sono stata molto noiosa in questa scelta, ma vi ripeto che era una settimana che mi nutrivo solo di pollo e zebù!
Subito dopo pranzo ci siamo rimessi in marcia, come già scritto in direzione della capitale, dove il giorno seguente avremmo preso l’aereo per tornare a Nosy Be e goderci l’ultima settimana al mare. Lungo il nostro tragitto ci siamo accorti di avere ancora diversi oggettini (collanine, giocattoli, peluche, orecchini) e magliette da regalare alle popolazioni povere che vivevano lungo questa SS7. A metà strada, nel bel mezzo del nulla, notiamo un gruppetto di bambini di età che variava dai 5 ai 10 anni al massimo, tutti sorridenti che giocavano tra di loro, e che appena ci hanno visti rallentare ci sono corsi in contro, sempre sorridenti ma anche un po’ intimiditi. Non posso descrivere le loro faccine quando hanno visto che avevamo dei regalini per loro, tutti in fila senza spingersi e senza togliere niente all’altro si sono presi un oggettino a testa ringraziandoci sfoderando quel poco di francese che parlavano. Assistendo a questa scena, si sono avvicinate anche ragazze un po’ più grandi, di 16-17 anni, alle quali abbiamo regalato bracciali e orecchini che ai bambini sicuramente non avrebbero fatto più di tanto piacere. Anche loro sono state così felici di ricevere questi pensierini, li hanno subito indossati e sfoggiati con molto orgoglio. Infine abbiamo regalato le ultime magliette che ci erano rimaste (lungo il viaggio più volte ci è capitato di regalare qualche t-shirt che non usavamo) alle restanti donne del villaggio. E’ stato qualcosa che sarà durato al massimo 5 minuti, ma vi assicuro che le sensazioni e le emozioni che ho provato sono state così toccanti da commuovermi ancora adesso che le rivivo scrivendo questa pagina di diario.
All’ora di cena siamo poi arrivati all’hotel Belvedere, uno degli hotel più belli della capitale, e decisamente anche uno dei più carini di tutto il tour: tutto il legno, con vista panoramica sulla capitale Tana (e su Alberto che controlla le notifiche di Instagram ahah).
La cena presso il ristorante dell’hotel è stata davvero squisita, anche in questo caso, come a pranzo, la cucina proponeva pietanze italiane, e vi dirò che gli gnocchi al ragù non erano affatto male (a parte la cottura ma lasciamo perdere!).
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